Diritto ai bambini o diritto dei bambini? Intervista con Olivia Maurel, portavoce per la Dichiarazione di Casablanca

La voce del patriota 15 dicembre 2024

« Sto facendo del mio meglio per dissipare le menzogne e la propaganda sull’utero in affitto, una pratica che chiamo « nuova schiavitù »

Olivia, 33 anni, abita in Francia ed è madre di tre bambini. Nata da maternità surrogata, porta avanti una fiera battaglia per abolire questa pratica, che considera “una nuova forma di schiavitù”: oggi è portavoce della Dichiarazione di Casablanca per l’abolizione universale della maternità surrogata.

La sua storia è simile a quella di tante altre persone, nate tramite tale pratica. Quando è nata suo padre aveva 37 anni e sua madre già 48. Nonostante i numerosi tentativi, la coppia non riuscì mai ad avere un figlio. Da lì la decisione di ricorrere all’utero in affitto. Fu una donna americana del Kentucky a fornire gli ovuli e l’utero per la gestazione.

La Maurel è stata ospite ad Atreju, dove ha ricevuto il premio consegnato da Maddalena Morgante (Deputata FdI, Responsabile Dipartimento Famiglia e Valori non negoziabili) e Matteo Rosso (Deputato FdI, Responsabile Dipartimento Sanità).

Abbiamo avuto l’occasione di intervistarla e, durante il nostro scambio, ci ha parlato del suo attivismo per abolire una pratica che, anche se da molti dipinta come sogno che si avvera, è in realtà un incubo di cui non si parla abbastanza.

Perché i tuoi genitori hanno deciso di far ricorso a questa pratica e in che paese hanno trovato una “volontaria”?

Mia madre non poteva aver figli anche se li desiderava. Dopo tanti tentativi, lei e mio padre hanno deciso di affittare un utero perché volevano una figlia che avesse i loro geni. Questo lo considero molto egoista; negli Stati Uniti, per esempio, prima che nasca il bambino, è possibile scegliere il colore dei capelli, degli occhi o della pelle. È come sfogliare un catalogo di donne con varie caratteristiche…

Una coppia sceglie quelle che preferisce, e “seleziona” una donna che purtroppo andrà incontro ad un lungo e complesso periodo di sofferenza.

Ma questa non è la parte peggiore. Quando, dopo un’ecografia fetale, vi è il sospetto che il bambino possa nascere con la sindrome di down o altre condizioni simili, i genitori che hanno comprato l’utero molto spesso obbligano la donna ad abortire. O semplicemente mettono a rischio la vita della donna pur di mantenere il bambino “intatto.”

Britney, una donna che ha affittato il suo utero ad una coppia, ha avuto un tumore mentre era incinta di 24 settimane. La coppia le ha impedito di portare avanti la chemioterapia, minacciando ospedali e ginecologi di fargli causa se l’avessero presa in cura. La donna è dovuta andare in un altro Stato per farsi curare, poiché i genitori non volevano crescere “un figlio che rischia di nascere handicappato”, come da loro riferito.

Come e quando hai saputo di essere stata concepita in quel modo?

Crescendo ho sempre notato differenze tra me a mia madre. Solitamente i bambini si identificano con la mamma, si notano somiglianze sia fisiche che nei modi di fare. Io sono bionda, alta e con occhi chiari. Lei è bassa ed ha un aspetto più mediterraneo. Poi non l’ho mai sentita investita del suo ruolo di madre, come lo fa una una biologica, perché le viene naturale. Non c’era una connessione emozionale con lei, non quanto con mio padre (perché giustamente hanno usato i suoi spermatozoi).

Un giorno da piccola le chiesi “Quanti anni hai?” e lei con un tono molto arrabbiato mi rispose “Non chiedermelo mai più!”. Però un giorno ho preso la sua carta d’identità e ho visto la sua età. Comunque sia era sempre molto evasiva quando le facevo certe domande, c’erano tante bugie. Insomma, ho avuto un’infanzia ed un’adolescenza molto, molto complicata. Non sapevo da dove venivo, non riuscivo a “costruirmi” in quanto persona. Le persone che nascono biologicamente dai loro genitori si portano dietro tutta un’eredità che viene da molto lontano; i tuoi nonni e bisnonni ti tramandano un patrimonio genetico importante. È così che diventi quel che sei e ti costruisci all’interno della tua famiglia. Io non ho tutto questo. Chi sono? Perché sono alta? Perché i miei occhi sono così chiari? Tante domande senza risposta. È difficile per un’adolescente, e ti rendi conto che c’è qualcosa che non va.

Ho deciso di investigare per conto mio. Nel mio certificato di nascita c’è scritto che la donna che mi ha cresciuta è mia madre biologica, e che mi ha partorita negli Stati Uniti. In realtà, non c’era alcun valido motivo per farmi nascere lì. Quindi, ho iniziato a fare qualche ricerca sul Kentucky, più precisamente Louisville, ed ho scoperto che esistono delle cliniche per l’utero in affitto. Da quel momento, le cose hanno iniziato a quadrare, molto di più. Quando ho compiuto 30 anni mia suocera mi ha regalato un kit per il test del DNA; è risultato che non sono nemmeno l’1% francese, eppure la madre che mi ha cresciuta è francese. Mi sono sentita sollevata, finalmente una prova fisica della mia esistenza, dopo 30 anni di dubbi e bugie ero felice. Non è possibile costruirsi senza conoscersi.

Com’è cambiata la tua vita e soprattutto il rapporto con i tuoi genitori?

Avevo paura di perderli, di essere abbandonata una seconda volta. Loro non mi parlano più da quando ho iniziato la mia lotta contro l’utero in affitto. Non riescono a capire che non è una lotta contro di loro, ma, in generale, contro lo sfruttamento di tante donne nel mondo.

È stato difficile e lo è ancora. Io e  mio marito abbiamo ricevuto tante minacce, e sono stati minacciati anche i miei bambini. Ho perso tanti amici ma non mi arrendo. Non mi fermo. È un viaggio straordinario e non mi pento di niente. Non ho paura di diffondere la verità e di esporre un mercato che ha un valore di 14 miliardi di euro. O stai dal lato giusto della storia, o paghi il prezzo del rammarico.

Questa storia ti ha lasciato una grande cicatrice. Quali sono i pericoli e le difficoltà per queste donne che affittano il loro utero?

È complicato. Queste donne devono firmare un contratto e una clausola di riservatezza. Non possono parlarne altrimenti rischiano una denuncia. Spesso sono donne povere che hanno un grande bisogno di soldi per sopravvivere. E c’è anche un problema di educazione; spesso sono ragazze che non hanno accesso ad un sistema educativo adeguato. Tutti gli ormoni che devono assumere rischiano di avere un effetto molto negativo sulla loro salute. Non sono tutelate, le agenzie che si occupano della pratica non vanno da loro a chiedere come stanno, cosa le serve, come si sentono. Né prima, né dopo il parto. Una volta che hanno partorito, anche se ci sono complicazioni, non vengono aiutate. Se hanno, per esempio, un’emorragia dopo il parto, la agenzie e la famiglia che si prende il bambino non sono tenuti ad aiutarle perché il contratto è giunto al termine.

È molto difficile rintracciare queste donne, non c’è quasi nessuna informazione e, ovviamente, non si sa quante siano decedute. “Ti pago e poi sono cavoli tuoi”. Funziona così. Questo succede nei paesi più sviluppati, ma è molto peggio in altri; certe donne vengono rinchiuse in una casa, o meglio, una prigione. Sono sorvegliate e non possono uscire finché non hanno partorito. Le danno dosi di ormoni enormi e non esistono ancora molti studi sugli effetti a lungo termine di questi medicinali. Negli Stati Uniti si usa un medicinale chiamato Lupron, che serve a regolare la produzione di ormoni per preparare il corpo alla gravidanza. Senza questi medicinali il sistema potrebbe “rigettare” quel corpo estraneo inserito in una donna. Il cervello non sarebbe pronto, si direbbe “cos’è questa cosa strana dentro al corpo? Meglio mandarlo via”. È un po’ come un rigetto di trapianto, quando il sistema immunitario di un paziente che ne è stato sottoposto, attacca il nuovo organo, riconoscendolo come estraneo.

Cosa vorresti dire a queste donne? Chi sono principalmente?

Non è così facile: sono delle vittime. Vittime di un mercato che ha un valore di 14 miliardi di euro. Sono donne povere, utilizzate, è come la prostituzione, è un’industria. Un problema legato alla povertà. Non penso proprio che una donna decida spontaneamente di portare in grembo un bambino per 9 mesi, subire tutti gli stati della gravidanza, il dolore e il pericolo del parto, per poi dare suo figlio a una coppia di sconosciuti. Nessuna lo fa per piacere. Lo fanno perché sono disperate, e il mercato dell’utero in affitto approfitta della loro disperazione e vulnerabilità.

La mia missione è viaggiare il più possibile, raccontando la mia esperienza e quella di tante donne che ho conosciuto, così da diffondere conoscenza ed educare alla mostruosità di una pratica molto pericolosa. Spesso sono donne giovani che vengono influenzate da quello che vedono nei media e su internet, perché lo spacciano come qualcosa di “bello”, quindi non si rendono conto.

L’effetto è devastante sulla salute mentale di queste donne. Devono dare via un bambino che hanno portato in grembo. Un bambino che ha sentito la sua voce per 9 mesi, che ha mangiato quello che ha mangiato lei. Durante la gravidanza avviene uno scambio reciproco di cellule tra la madre e il proprio bambino. E queste cellule possono rimanere in corpo fino a 30 anni. È scientificamente impossibile scordare il figlio che hai portato in grembo, rimane un’impronta indelebile.

È difficile in Francia, e in generale, combattere contro l’utero in affitto?

Sì, ma non perché è difficile convincere i politici. È perché quasi tutti i media in Francia sono favorevoli e sostengono questa pratica. Sui giornali e in televisione si vedono solo belle storie, il lato oscuro non viene mostrato. Ma quando spieghi alla gente in modo semplice per sensibilizzarli, capiscono e si rendono conto della gravità della cosa. Purtroppo i media hanno troppa influenza.

Ora che hai scoperto le tue origini, ti senti meglio?

Sì certo, non mi fermerò mai e continuerò sempre a diffondere informazioni e a sensibilizzare la gente. Ci sono voluti 100 anni in America per abolire la schiavitù. Ci vorrà del tempo per fermare questa pratica,  ma non demordo.

L’utero in affitto è reato universale in Italia. Cosa vorresti dire a Giorgia Meloni?

Grazie mille per questa legge. Voglio ringraziare anche Eugenia Roccella che è stata di grandissimo aiuto. La ammiro, ammiro questa legge e ammiro Giorgia Meloni. È la legge perfetta, è scritta molto bene e l’Italia ha segnato la storia! Gli altri paesi devono prendere esempio, serve un accordo internazionale per giungere a un’abolizione universale. Quando ho visto che la legge era stata approvata ho pianto, ero felicissima e non riuscivo a crederci.

Ma purtroppo l’Italia è abbastanza sola. Non ha paura di aprir bocca a riguardo e dare la sua opinione. Gli altri paesi non sono così coraggiosi. Tutti quanti devono firmare la Dichiarazione di Casablanca. Con abbastanza adesioni possiamo iniziare a portare la nostra causa all’ONU e discutere un trattato internazionale. L’Italia ha avuto un coraggio immenso e gli altri paesi devono tirar fuori le palle.

Lunga vita ai bambini e viva l’Italia.

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